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Visualizzazione dei post da maggio, 2021

Zeugma n° 16

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Ci sono fatti ed accadimenti nel mondo così orribili ed indicibili che per affrontarli, anche solo finzionalmente, ci vogliono uno stomaco d'acciaio e un'intenzione di ferro. D'altro canto, si sa, la realtà supera sempre ogni immaginazione eccetera eccetera . C'è però modo e modo per parlare di quello di cui non si riesce a parlare, di trattare l'Intrattabile. C'è stata una sera di dieci e passa anni fa in cui mi sono, forse per la prima volta, sinceramente incazzato con un'opera finzionale , e non per ciò che sosteneva o non sosteneva, mostrava o non mostrava, per gli assunti da cui era infornata e per le conclusioni che traeva o non traeva, ma per la profonda disonestà che permeava ogni fibra dell'approccio a un tema terribile e, purtroppo, misconosciuto, ancora oggi. Il fatto è questo: se gli unici riflettori che vengono accesi non servono ad illuminare funzionalmente l'oggetto ma, piuttosto, ad accecare inutilmente l'osservatore, che conclusi

Zeugma n° 15

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C'è... Non ricordo. Aspetta, stasera mangiamo pollo. Ricominciamo. C'è un quadro davanti a me, ecco, io più precisamente sono seduto, sul divano di casa mia. Un goccetto, magari? Controlliamo l'ora. C'è un orologio al mio polso, un orologio che però adesso non c'è più. Chissà chi me l'avrà rubato. Per fortuna esiste un posto che conosco solo io dove nascondo le cose preziose. Che posto è? Ricominciamo. Una passeggiata al parco, magari, dite? Dopo, se ne avrò le forze. Per ora ho un bicchiere in mano con del whisky, volete favorire? Vi posso far vedere anche come ballo bene il tip tap. Ecco, ci si può aspettare qualcosa di meglio da un ex ballerino professionista? Io un ballerino? Per niente: sono un ingegnere. Ero un ingegnere. Ero... Non ricordo. Ricominciamo. Ci sono due stranieri in casa mia che sostengono di non essere stranieri e di essere a casa loro. Fate finta che non... C'è un posto dove nascondo il mio orologio, ma forse loro l'hanno trovato lo

Zeugma n° 14

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C'è un disco di cui tutti, ma proprio tutti stanno parlando al momento. Sì, insomma, avete già perfettamente capito quale, senza che io stia qui a fare nomi e cognomi - e se non avete ancora colto il riferimento vivete probabilmente in un pianeta diverso dal pianeta Terra, un po' come l'autore del suddetto disco di 110 mastodontici minuti e passa e della sua cerchia di preparatissimi musicisti antimoderni. L'idea di fondo, tutto sommato, è insieme semplice e geniale: dal momento che i dischi oggi non li ascolta più nessuno, tanto vale farne uno eccessivo, impenetrabile, curatissimo nei suoni, uno scibile fonolalico dell'apocalisse che ogni tanto, quasi per compassione fisiologica, ti ammolla pure il brano in formato singolo che spezza un po' il flusso di coscienza. C'è ovviamente già tutta un'estenuante e autoriferita narrazione dialettica su come questo disco sia l'inarrivabile capolavoro del millennio e al contempo la ciofeca definitiva di sempre,

Zeugma n° 13

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C'è una grande verità della vita che dovrebbe consolare chi dalla vita non ha niente, i perdenti, ad esempio, gli sconfitti, i miserabili: che è di loro che sono piene le pagine dei romanzi, le sceneggiature cinematografiche, le gallerie d'arte, i solchi dei vinili. Tutti vogliono vincere, ma a nessuno davvero interessa chi vince, poi. Anche perché, a ben ragionarci, se tutti vincono poi alla fine chi è che vince? Invece nell'arte, per fortuna, vince chi perde. E non importa poi molto avere chiara la coscienza della sconfitta, ma fare comunque finta di niente, oppure credere davvero di star vincendo quando, invece, l'unico traguardo che si palesa è quello della disfatta. C'è, ad esempio, questa famosa opera di questo famoso commediografo greco che narra una vicenda tipicamente grottesca: due uomini, disgustati dal loro tempo e dalla loro società (a proposito del si stava meglio quando si stava peggio), decidono di estraniarsi dalla lotta come gran figli di mignotta

Zeugma n° 12

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C'è un genere cinematografico, il road movie , che per qualche motivo facilmente intuibile continua ad essere associato all'immaginario di stuporoso languore che avvolge gli ontologicamente incontaminati paesaggi americani. Lo si declina in cento modi diversi, il road movie , come viaggio alla scoperta di sé e dell'altro, come chiusura esistenziale di un ciclo, come esplorazione metaforica della psiche o come scenario da thriller itinerante, e chissà quante altre scuse ancora si potrebbero trovare ma l'importante, sembrerebbe, è che nella macchina da presa finiscano incastrati frammenti di Alaska, granuli di Nebraska, doppifondi di Texas e Colorado e più in là, chissà, anche dagherrotipi di Montana, epifanie di Kentucky. E dire, tuttavia, che ci sono centinaia e forse migliaia di road movie che l'America, anche se intendono rievocarla in qualche modo, non la vedono nemmeno con il binocolo. Questo perché il road movie , per esistere, ha bisogno di uno spazio interio