Zeugma n° 12
C'è un genere cinematografico, il road movie, che per qualche motivo facilmente intuibile continua ad essere associato all'immaginario di stuporoso languore che avvolge gli ontologicamente incontaminati paesaggi americani. Lo si declina in cento modi diversi, il road movie, come viaggio alla scoperta di sé e dell'altro, come chiusura esistenziale di un ciclo, come esplorazione metaforica della psiche o come scenario da thriller itinerante, e chissà quante altre scuse ancora si potrebbero trovare ma l'importante, sembrerebbe, è che nella macchina da presa finiscano incastrati frammenti di Alaska, granuli di Nebraska, doppifondi di Texas e Colorado e più in là, chissà, anche dagherrotipi di Montana, epifanie di Kentucky. E dire, tuttavia, che ci sono centinaia e forse migliaia di road movie che l'America, anche se intendono rievocarla in qualche modo, non la vedono nemmeno con il binocolo. Questo perché il road movie, per esistere, ha bisogno di uno spazio interiore molto prima e molto più della sua eventuale rappresentazione esteriore, che assolve al compito di tradurre visivamente quanto di visivo non può essere dato. C'è, ad esempio, la legge morale di una donna di mezz'età che si autoimpone di serbare la memoria del marito recentemente scomparso girovagando lomaxiana per gli Stati Uniti, in una tensione verso uno stile di vita seminomade che non ha nulla di rivoluzionario né di vagamente antisistemico, ma è una semplice - si fa per dire - celebrazione del solitario silenzio che popola i margini di una società neon e lustrini. Un luogo, che è da ogni parte e al contempo da nessuna, dove rimettere a posto i cocci infranti di un'esistenza liminale. C'è l'infinita piccolezza dell'uomo stagliata contro la natura, certo, ci sono momenti di autentica e inaspettata meraviglia, ci sono anche incontri casuali che si vorrebbe non finissero mai e frequentazioni prolungate che dovrebbero invece terminare il prima possibile. Ma quello che non sembrerebbe esserci, in questo vagabondare pallido e assorto, è una chiave di volta, o di svolta, che permetta di riconoscere una vera discontinuità tra una vita del prima e una vita del poi, una cesura che alla protagonista tolga di dosso la propria maschera. C'è quanto basta per lasciare un segno, forse, ma il resto dovrà venire da sé.
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