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Visualizzazione dei post da giugno, 2021

Zeugma n° 19

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C'è una domanda che mi sono posto spesso in questi ultimi anni di merda e che ha a che fare con il sottile discrimine tra veridicità e autosuggestione, tra il credere ostinatamente in qualcosa che si sa non essere vero (o, perlomeno, non nel modo in cui viene raccontato) e l'ignorare coscientemente qualcos'altro che non rientra nei propri orizzonti di senso. Ad esempio, quando Salvini arriva al suo undicesimo comizio di giornata e per la seicentesima volta intona lo stesso peana sulle quote latte e sull'invasione, è forse perché ci crede veramente, perché non gliene frega niente ma sa perfettamente che chi lo ascolta ci crede o ha deciso di crederci nonostante tutto, oppure perché lui stesso ha deciso di crederci contro ogni evidenza? C'è un passaggio di Testamento , noto brano di Franco Battiato, che riformulato suona grossomodo così: della vita mi mancherà persino il caratteristico odore che prende l'urina dopo aver mangiato gli asparagi. È crederci veramente,

Zeugma n° 18

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C'è un termine chiave della filosofia presocratica, àpeiron , che pare abbia introdotto per la prima volta Anassimandro e che ha creato da sempre innumerevoli problemi interpretativi. Il significato letterale è "infinito", "illimitato", e dovrebbe tecnicamente indicare il principio costituente dell'universo, una materia oltre la materia, indeterminata e indistinta, nella quale gli oggetti atomici perdono la loro individualità e i tratti oppositivi distintivi si annullano a vicenda, tornano a sovrapporsi. Tutto bene fino a quando Giovanni Semerano , probabilmente per un colpo di sole, non ha pensato bene di creare scompiglio e di far derivare àpeiron da una parola accadica indicante la "terra": unica possibile conclusione logica di queste elucubrazioni, quella di reinterpretare Anassimandro e i 2500 anni di filosofia occidentale direttamente conseguenti alla luce della buona saggezza biblica della finitezza transitoria, " polvere sei e polver

Zeugma n° 17

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C'è una notizia che in questi primi giorni estivi di liberi tutti è scivolata fra le dita di quella che nel 1964 si definiva ancora "opinione pubblica": la sentenza d'appello del tribunale dell'Aja emessa a carico del generalissimo Ratko Mladić, il boia di Srebrenica, che conferma la condanna in primo grado all'ergastolo per genocidio e crimini di guerra contro l'umanità. Mladić aveva poco più di cinquant'anni quando, fra il 1992 e il 1995, ricoprì la carica di capo di stato maggiore delle forze armate della Republika Srpska, l'entità statale a base etnica serba della Bosnia Erzegovina, attraversando e spesso ordinando in prima persona le trame delle pagine più nere e cruente della guerra in Bosnia, tra cui l'assedio di Sarajevo e, per l'appunto, il massacro di Srebrenica. La sua condanna definitiva, oggi, che lo costringerà a passare il poco resto della sua vita in galera e che è stata salutata con fervore da tifoseria da praticamente tut