Zeugma n° 13
C'è una grande verità della vita che dovrebbe consolare chi dalla vita non ha niente, i perdenti, ad esempio, gli sconfitti, i miserabili: che è di loro che sono piene le pagine dei romanzi, le sceneggiature cinematografiche, le gallerie d'arte, i solchi dei vinili. Tutti vogliono vincere, ma a nessuno davvero interessa chi vince, poi. Anche perché, a ben ragionarci, se tutti vincono poi alla fine chi è che vince? Invece nell'arte, per fortuna, vince chi perde. E non importa poi molto avere chiara la coscienza della sconfitta, ma fare comunque finta di niente, oppure credere davvero di star vincendo quando, invece, l'unico traguardo che si palesa è quello della disfatta. C'è, ad esempio, questa famosa opera di questo famoso commediografo greco che narra una vicenda tipicamente grottesca: due uomini, disgustati dal loro tempo e dalla loro società (a proposito del si stava meglio quando si stava peggio), decidono di estraniarsi dalla lotta come gran figli di mignotta e di ritirarsi a vita privata in un luogo dove nessuno potrà mai raggiungerli, anche perché è un luogo che non esiste: una città sospesa per aria, tra il regno degli uomini e quello degli dei, un'utopia levitante sottoforma di impossibile convivenza tra bipedi e uccelli. Va da sé che i protagonisti nella commedia vincono, vincono anzi in grande stile, il che non può che significare che la realtà è un'altra cosa, a loro fondamentalmente preclusa, da cui sono esiliati. Ci sono centinaia di migliaia e forse milioni di uomini che vorrebbero scappare per mai più tornare, rifugiarsi in un altrove che compensi le miserie della quotidianità: ci sono corpi, volti, silhouette e ingranaggi esausti del meccanismo sociale pronti a prendere un'automobile e a fare chilometri su chilometri nel niente diretti verso il nulla, rimodellando il proprio apparato fonatorio nell'attesa spasmodica dell'Altro che non viene, dell'Upupa che prenda per mano lo sconfitto e lo rassicuri, non preoccuparti, noi cambieremo il mondo, lo faremo come volevi tu. Ci sono infinite storie come questa, di illusione e disillusione, e in fondo chi siamo noi per poter giudicare qualcuno dalla nostra posizione di penultimi? Ci sono tuttavia dei rischi connessi a questa massa inquieta e disillusa di uomini-uccelli che gravita sopra le nostre teste: un mare di merda. Il che, per chi nella merda ci sta già, non è obiettivamente una grande professione di speranza.
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