Zeugma n° 14
C'è un disco di cui tutti, ma proprio tutti stanno parlando al momento. Sì, insomma, avete già perfettamente capito quale, senza che io stia qui a fare nomi e cognomi - e se non avete ancora colto il riferimento vivete probabilmente in un pianeta diverso dal pianeta Terra, un po' come l'autore del suddetto disco di 110 mastodontici minuti e passa e della sua cerchia di preparatissimi musicisti antimoderni. L'idea di fondo, tutto sommato, è insieme semplice e geniale: dal momento che i dischi oggi non li ascolta più nessuno, tanto vale farne uno eccessivo, impenetrabile, curatissimo nei suoni, uno scibile fonolalico dell'apocalisse che ogni tanto, quasi per compassione fisiologica, ti ammolla pure il brano in formato singolo che spezza un po' il flusso di coscienza. C'è ovviamente già tutta un'estenuante e autoriferita narrazione dialettica su come questo disco sia l'inarrivabile capolavoro del millennio e al contempo la ciofeca definitiva di sempre, ma questo non è altro che l'ennesimo insopportabile riflesso di quel neomanicheismo della contemporaneità che rende impossibile scorgere i grigi tra il bianco e il nero. Comunque, di fronte ad un disco del genere, c'è un film ben preciso che mi viene in mente: un monolite nero pece, un blocco gargantuesco inscalfibile e a tratti persino inavvicinabile, un labirinto senza filo conduttore in cui si mischiano quattro lingue, cinque atti, decine di personaggi e potenzialmente tutta la grammatica del postmoderno, da Kenneth Anger al Minotauro, dalla contessa Báthory alle catacombe romane. Ci sono due tipi di reazioni prototipiche contemplabili di fronte ad esperimenti del genere: l'ammirazione sconfinata di chi ama l'estetica pura del gesto performativo e l'irritazione totale di chi riduce tutto alla vacuità di un atto masturbatorio, dell'ennesimo showoff degli amici degli amici della cineteca di Bologna. C'è chi poi, isolato, spaventato persino, nel mezzo vorrebbe anche argomentare: ma non può, perché non gli riesce o, al contrario, gli viene impedito. Tutto questo sul pianeta Terra. Nei pianeti in cui abitano gli altri, tra le meccaniche celesti di cui cantava qualcuno a noi caro, invece, chissà.
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