Zeugma - 2° tempo supplementare

Quando, ormai tre anni e mezzo fa, andai a vedere la prima parte di Loro al cinema, al termine della proiezione mi alzai con lo stesso stato d'animo che doveva presumibilmente avere Lenin di ritorno in Russia nel suo bel vagone piombato: leggermente inalberato. Il fatto è che, più o meno come Lenin, sentivo di essere stato gabbato, anzi, diciamo proprio preso per il culo, ovviamente in senso metaforico, e non mi pareva granché accettabile, anzi, quasi mi sembrava di essere stato tradito da colui che ormai consideravo un amico, certo, un amico narciso e autocompiaciuto, ma pur sempre una figura idealizzata che in passato mi aveva intrattenuto, regalato importanti riflessioni, addirittura fatto emozionare. Non era la prima volta che succedeva, già Youth mi aveva fatto mulinare le sacche scrotali con la sua spicciola pseudofilosofia da Buddha Bar, ma questa volta, lo percepivo, un limite invalicabile era stato violato per sempre. Promisi solennemente a me stesso che mai più avrei toccato le sacre sponde, né avrei messo piede al cinema per vedere un altro film di Sorrentino: giuramento vergognosamente accartocciato qualche mese dopo, addirittura per lo stesso identico film, solo la seconda parte, nel complesso un po' meglio della prima ma comunque deludentissima, e con in più una scena dialogica incredibile fra Servillo e Elena Sofia Ricci la cui morale laica avrebbe spinto a tesserarsi a Forza Italia anche il più acceso dei marxisti-leninisti. La sto già facendo lunga, ma è questo il punto: il mio rapporto con il cineasta partenopeo, omonimo dell'illustre tuttofare in combutta con la Todis di Salerno, si era deteriorato già da tempo. Dunque perché dedicare il golden goal di Zeugma a - lo avrete oramai capito - È stata la mano di Dio, madeleine sorrentiniana ai tempi del Pibe de Oro che si può già immaginare tracimante di una certa retorica nostalgica ed estetizzante? Non si può negare sia un prodotto a tratti leccato: non si può neanche dire che certi eccessi sentimentalistici suonino come minimo gratuiti, se non apertamente insinceri. È però un film in cui, tolti gli eccessi di maestria tecnica, v'è una storia: dove la masturbazione non è circoscritta al perimetro mentale ma, semmai, dovuta all'imprevedibile e sciagurata fricatizzazione di pizza in zizza - un saluto alle coppie minime e a Luisa Ranieri che sempre discinta segue fedelmente Radio Sherwood. È un film dove l'ombra felliniana è, appunto, un'ombra, ingombrante quanto si vuole, ma non un imbuto vorace in cui ogni componente precipita per inerzia. È un film, anche, di vita vera e veramente vissuta - la stessa, forse, che dopo due anni di pandemia ci siamo dimenticati. Si esce dalla sala con le mani spellate dagli applausi? No, affatto. Ma tornare a scorgere uno spicchio di cielo dal fondo di una fossa oceanica vale forse più di mille parole.

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