Sinistri privilegi


Ho capito per la prima volta che la destra sarebbe divenuta egemone un giorno di fine febbraio di sette anni fa. Erano le elezioni del 2013, il vero punto di svolta che avrebbe trasformato il paese nella Repubblica dei Meme che è oggi. Difficile spiegarlo a parole a chi non lo ha vissuto in diretta, ma ci si può comunque provare. Si usciva, allora, dalla grande stagione del civismo arancione, il referendum dei quattro sì, il trionfo del centrosinistra in comuni e regioni, la foto di Vasto (per chi se la ricorda), il grande colpo di coda delle inchieste berlusconiane, infine l'apice di una crisi galoppante e un anno e mezzo di austerità sotto il governo Monti (sempre per chi se lo ricorda). Pareva di percepire una voglia di riscatto, un riscatto che sarebbe andato interamente a favore dello smacchiagiaguari Bersani e, forse, a quell'oggetto misterioso e dirompente che era il primo Movimento 5 Stelle. Berlusconi, lo dicevano tutti, era finito, ai minimi storici da vent'anni, l'ombra di sé stesso - praticamente, il Berlusconi del 2020, solo nel 2013. Ebbene, quella sera, Berlusconi e la sua coalizione di centrodestra raggranellarono il 25% dei voti [ERRATA CORRIGE: il 29%!] ed arrivarono ad un passo dallo sconfiggere il favoritissimo Bersani. (Per inciso, io quella volta votai Rivoluzione Civile, l'unico voto in vita mia che ancora rimpiango di aver buttato)

Fu quella sera che, per la prima volta, capii che la destra sarebbe divenuta egemone. Così, quando negli anni immediatamente successivi arrivarono gli schiaffi sempre più fragorosi del Partito popolare spagnolo, di Beata SzydłoOrbán, di Trump, di Salvini e di Johnson, man mano che il mondo si accartocciava su sé stesso e ci stritolava nel mezzo, mi accorsi non solo di non stupirmene affatto ma, anzi, di essere sicuro che il peggio dovesse ancora arrivare. Anni prima, invece, giovane ragazzino di estrema sinistra attorniato da gente che in tutto o in parte condivideva ciò che io pensavo, specialmente ai tempi verdi della mia prima esperienza a Sherwood (sì, perché ce n'è stata un'altra, durata sette anni), mi sarei sdegnato e indignato contro le masse ignoranti: come è possibile che non riescano ad accorgersi della necessità di votare a sinistra per il bene superiore! per il bene di tutti e non di pochi!, mi ripetevo.

Poi mi sono osservato allo specchio e ho visto un giovane uomo, non proletario, amante della musica e del cinema e loro frenetico fruitore, con in dote dei buoni studi e una discreta posizione sociale, dalla quale mi beavo il lusso di concedere democraticamente il mio voto a forze ultraminoritarie (lusso che, per inciso, mi concedo tuttora). E penso di aver capito non solo che la destra sarebbe divenuta egemone, ma anche perché. L'errore a monte stava nel generalizzare e nel dare per scontato che tutti vivessero una situazione come la mia che, per tanti versi, era eccezionale. Nei confronti di molti esercitavo almeno due fondamentali privilegi. Il primo era un privilegio di accessibilità: arrivare cioè a fare delle esperienze che in molti non potevano, o non potevano permettersi il lusso di fare. Per dire, se lavori in catena di montaggio a 800€ al mese, quando ti va bene, cosa te ne può fregare della scuola di Francoforte? Il secondo era un privilegio di curiosità: la mia natura, perennemente curiosa e insoddisfatta, mi porta a cercare delle risposte a domande sempre nuove che altri, per minor complessità o indifferenza, semplicemente non si pongono.

Non avevo mai provato la cucina uzbeka prima dell'altra sera, quando, girando per il centro del posto dove mi trovo attualmente, mi sono imbattuto in questo piccolo ristorante. Ecco, posso ora dire che non sia tra le mie preferite (anche se trovo che le zuppe siano mediamente più buone di quelle russe), ma posso anche dire che a molti, della cucina uzbeka o del sorite, dell'orizzonte degli eventi o del calcolo lambda, dei cronotopi o dei poliritmi non gliene frega un cazzo. È sfrondando i grigi, liofilizzando la complessità dell'essere e del divenire che la destra è divenuta egemone, ammesso che sia esistito un tempo in cui non lo sia davvero stata, il che implicherebbe che è possibile immaginare un tempo in cui l'uomo sia benevolmente disposto a rinunciare ad un po' del proprio per il bene di tutti: tesi, soprattutto nella tempolinea miniaturizzata di oggi, piuttosto difficile da sostenere.

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