Zeugma - Calci di rigore

 

Perché usare le metafore, se si può essere diretti? Perché, ad esempio, dire di qualcuno che ha "esalato l'ultimo respiro" o "se n'è andato senza soffrire" (cosa che peraltro io faccio sempre quando qualcuno a una festa mette su i Nickelback) se, più prosaicamente, è morto? Perché esprimersi con aria contrita "eh, sai, ha un brutto male", abbassare la voce quando nel nostro campo visivo entra un deambulante in carrozzina o costringersi a pensare che sì, è vero, il figlio della tua migliore amica è omosessuale, ma in fondo è come gli altri? (Sbagliato: tutti gli omosessuali hanno un polmone in più.) Avevo in mente di affrontare il discorso con tutta la serietà deontologica che mi può essere consentita in occasione dell'ultima apparizione ufficiale di Zeugma, ma avrei dovuto parlare di volontà e intenzione, di modelli di atti linguistici basati sull'assunzione di responsabilità da parte del parlante e sul riconoscimento operato dall'interlocutore, e poi magari schivare pure il proiettolone di chi se ne esce contestando la poca inclusività della mia prosa: allora resettiamo tutto, ce lo riserviamo in uno spazio a venire della prossima rubrica e vaffanculə, voltiamo pagina. Cosa ne pensereste dell'esordio alla regia di un attore teatrale dove il protagonista, un giornalista interpretato dallo stesso regista, sequestra tutta la troupe di una trasmissione televisiva per sfogare la propria frustrazione a reti unificate sulla moglie che lo ha lasciato, il caporedattore che gli ha sottratto l'inchiesta più importante della vita, il politico affarista che ha cercato di rovinargli la carriera? Il politico, tra parentesi, è un Giuliano Ferrara in libera uscita dalla galassia socialista, che si fa sculacciare davanti a una telecamera da un questore alcolista. Per non farsi mancare altri -ista, poi, la crociata del protagonista è intervallata da spezzoni di un metafilm in cui appare in fuga da un istituto psichiatrico regolarmente visitato, fra gli altri, da Gianni Morandi. Ora ditemi: a cosa servono le metafore quando abbiamo già a disposizione trame meravigliose del genere? Vogliamo dare del coglione a Buñuel? E diamoglielo: ma senza il conforto di una mongolfiera a forma di scroto che irrompe improvvisamente in un salotto borghese.

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