Zeugma - 1° tempo supplementare
In vita mia ho visto tanti film belli che non mi hanno lasciato niente, prodotti di cui è difficile non riconoscere un certo valore intrinseco, ma che non di meno non ti spingerebbero esattamente a rivederli - nemmeno se l'alternativa dovesse essere, che ne so, ridisegnare le linee del campo dell'Atalanta per l'eternità. È noto da tempo che io abbia dei gusti di merda e infatti, non a caso, la categoria di film che tendo a preferire - tolti quelli che solleticano le mie mai sopite passioni giovanili e quelli che sembrano sintonizzarsi sulle medesime questioni esistenziali in cui io, come Sgarbi nella merda, sguazzo -, dicevo, la categoria di film che tendo a preferire è quella delle pellicole brutte, o comunque oggettivamente non belle, che però hanno in sé qualche elemento in grado di farle risaltare, qualcosa di sconosciuto eppure magnetico che attira molto al di là, e forse anche a dispetto, dell'estetica. Un esempio perfetto è dato dal ciclo di pellicole a basso se non bassissimo costo che l'indimenticato Aristide Massaccesi, aka Joe D'Amato, girò a cavallo tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80, nel suo periodo meglio noto come "esotico-erotico" - uno degli ultimi, narrativamente parlando, non ancora tracimato nel porno puro dei due decenni successivi. E dire che comunque di sesso simulato o molto più spesso vero in titoli come Papaya dei Caraibi, Sesso nero o Porno Holocaust ce n'è comunque in abbondanza, si direbbe quasi fino alla nausea, collante fondamentale di esilissime trame ad ambientazione perlopiù esotica in cui lo splatter a buon mercato si confondeva con un antropologismo dozzinale di quarta mano, dove mistero e fascino annegavano assieme nella quasi amatorialità: è però un sesso sottilmente disperato, sfatto e decadente, da fine impero, tracimante di presagi oscuri di morte anziché di gioia dionisiaca, e per questo dunque latamente disturbante, persino esistenzialista. Sono bei film? No, spesso fanno schifo e sono noiosi, ma d'altro canto Joe D'Amato non è mai stato esattamente un sommelier del nitrato d'argento. Li si guarda, se li si guarda, perché si ha dei gusti di merda come me, oppure perché guidati da un sesto senso che sembra orientare una ricerca inconscia verso l'imprevisto. Lunga vita ai film brutti ma belli.
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