Zeugma n° 19
C'è una domanda che mi sono posto spesso in questi ultimi anni di merda e che ha a che fare con il sottile discrimine tra veridicità e autosuggestione, tra il credere ostinatamente in qualcosa che si sa non essere vero (o, perlomeno, non nel modo in cui viene raccontato) e l'ignorare coscientemente qualcos'altro che non rientra nei propri orizzonti di senso. Ad esempio, quando Salvini arriva al suo undicesimo comizio di giornata e per la seicentesima volta intona lo stesso peana sulle quote latte e sull'invasione, è forse perché ci crede veramente, perché non gliene frega niente ma sa perfettamente che chi lo ascolta ci crede o ha deciso di crederci nonostante tutto, oppure perché lui stesso ha deciso di crederci contro ogni evidenza? C'è un passaggio di Testamento, noto brano di Franco Battiato, che riformulato suona grossomodo così: della vita mi mancherà persino il caratteristico odore che prende l'urina dopo aver mangiato gli asparagi. È crederci veramente, questo, oppure fingere di crederci, costruire una narrazione della vita con la quale non si ha tuttavia alcuna consonanza? C'è un racconto breve di Raymond Carter in cui l'autore narra di una battuta di pesca intrapresa da due amici che non si interrompe nemmeno quando, risalendo il corso del fiume, i protagonisti si imbattono nel cadavere galleggiante di una donna. La banalità del male, si dirà. Ma credere che una cosa esista o non esista ne muta forse lo status ontologico? Credere in un'utopia, anche quando è palese che rimarrà tale per sempre, ne altera forse le caratteristiche di irrealtà? Ci sono diversi gradi di autosuggestione, corrispondenti, con ogni probabilità, a diversi stati psicologici. L'autosuggestione, come le bugie, può anche essere bianca, esercitata cioè a fin di bene o di supposto tale, mirata magari alla conservazione di un equilibrio inesistente la cui palese rottura, tuttavia, causerebbe ancora più problemi di quanti ne potrebbe risolvere. E dunque si continua a credere, o si fa finta di farlo, perché in fondo è di credenze e di schemi mentali, e non di solo pane, che si nutre l'uomo.
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