Zeugma n° 17
C'è una notizia che in questi primi giorni estivi di liberi tutti è scivolata fra le dita di quella che nel 1964 si definiva ancora "opinione pubblica": la sentenza d'appello del tribunale dell'Aja emessa a carico del generalissimo Ratko Mladić, il boia di Srebrenica, che conferma la condanna in primo grado all'ergastolo per genocidio e crimini di guerra contro l'umanità. Mladić aveva poco più di cinquant'anni quando, fra il 1992 e il 1995, ricoprì la carica di capo di stato maggiore delle forze armate della Republika Srpska, l'entità statale a base etnica serba della Bosnia Erzegovina, attraversando e spesso ordinando in prima persona le trame delle pagine più nere e cruente della guerra in Bosnia, tra cui l'assedio di Sarajevo e, per l'appunto, il massacro di Srebrenica. La sua condanna definitiva, oggi, che lo costringerà a passare il poco resto della sua vita in galera e che è stata salutata con fervore da tifoseria da praticamente tutto il mondo (eccezion fatta per un manipolo di irriducibili nazionalisti), ci ricorda che nei Balcani nessuna soluzione è mai definitiva e tra le sacche più resistenti di irrisolto e non metabolizzato si nascondono dei potenziali ordigni in grado di riportare le lancette della storia indietro ai suoi decenni più bui e dolorosi. Di tanto in tanto, come per reazione chimica naturale, bolle di questo malessere nichilista mai completamente elaborato tornano a galla, spesso nelle sue manifestazioni più camp e apertamente provocatorie, a volte invece, come in questo caso, solo in forma raccolta, autenticamente dolente, con questo spalancando orizzonti di orrore quotidiano che ai più sono spesso ancora ignoti. Ci sono elaborazioni del lutto ed elaborazioni del lutto, c'è chi non si rassegna mai all'inevitabile e chi se lo lascia scivolare addosso come se non lo riguardasse affatto, e c'è infine chi combatte contro quella che sembra un'inaffondabile evidenza, dimostrando contro tutto e tutti di aver ragione e che, in fondo, la percezione interiore della realtà psicologica di certi rapporti è più forte della realtà esterna in cui sono stati calati. Si gira di lato la statuina di un cavallo e, con finalmente alle spalle il passato, si ricomincia nuovamente come prima.
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