Zeugma n° 10

C'è un ragazzo che come noi amava i Beatles e i rave illegali degli anni '90, che viveva in un presente eterno e al futuro pensava come si pensa a quella cambiale costosissima che hai firmato con l'illogica speranza (non il ministro) che non arrivasse mai il giorno in cui saresti stato costretto a pagarla. C'è però un giorno in cui quel giorno arriva, e non è più tempo di reinventare un'esistenza, perché qualcuno l'ha già fatto al posto tuo: c'è un palmare su cui segnare gli spostamenti, una tabella virtuale da riempire con i risultati del giorno, una bottiglia in cui pisciare per non perdere secondi preziosi. Eccetera eccetera. Ci sono quelle storie che quasi non serve problematizzare e narrativizzare in un film, perché sono parte fondante e costitutiva del reale e come tali intimamente iperreali: odissee kafkiane che il cronista di turno sbeffeggia senza ritegno, lotte silenziosa dove il sintagma dostoevskijano "umiliati e offesi" assume finalmente un significato concreto. C'è un mondo che poteva e doveva non essere così, se solo ai ragazzi degli anni '90 si fosse dato ascolto, anziché spaccar loro la testa e lasciarli riversi su asfalti bollenti di metà luglio: ma coi se e coi ma non si va da nessuna parte, come ben noto, ed allora il parallelepipedo della cassa dei bassi viene rimpiazzato da quello basso del pacco in consegna, le botte nei mosh chimici dai pugni di chi ti vuole sottrarre anche l'ultima speranza (ancora una volta, non il ministro). C'è un pericolo concreto, quando si parla di resistenza, ed è quello della retorica, le parole vuote e gonfie d'incenso che vengono esibite ad ogni pie' sospinto. Ma c'è anche un modo, altrettanto concreto, per aggirare questa retorica onnipresente: trasformare la prosopopea in azione, radicale se necessaria. Per questo Zeugma, stasera, si chiude qui.

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