Zeugma n° 8

C'è una storia turpe che attraversa sessant'anni di vicende cittadine, uno spauracchio che prende corpo per la prima volta nel lontano 1962 e che proietta la sua ombra sulla comunità come il caliburo di cui cantava, ormai una decina d'anni fa, la Piccola Bottega Baltazar. C'è poi un'altra storia, così diversa che sembra non poter in nessun modo avere alcunché in comune con la prima, eppure in comune ha tutto: c'è un ragazzotto rampollo di buona famiglia che decide di trasformare la prima storia (o, per meglio dire, un'estensione fantastica della prima storia) nella seconda storia, quella che vede la profonda campagna mischiarsi con lo steampunk, la cultura dei biker copulare con la fantascienza agricola e con il magico grottesco, il sangue tracimare da ogni poro e inzuppare il costume. La seconda storia è interessante, perché per interi decenni sono stati molto più numerosi quelli che hanno millantato di sentirne parlare di quelli che poi l'hanno effettivamente vista: e a ben ragione, perché di questa seconda storia, che racconta la prima ma a suo modo, ci sono pochissime testimonianze concrete, al livello del famigerato manoscritto manzoniano. Poi gli dei migranti degli Area, o i corsi e ricorsi storici imprevedibili, proprio sul limitare del primo lockdown hanno permesso di decodificare il segreto, di svelare l'arcano. Così la seconda storia, esoterica, è stata finalmente resa disponibile a tutti, nel suo splendente carico di camp eccessivo, di weirdismi se-non-li-vedo-non-ci-credo, di scene cult e dialoghi incredibili, di comparsate illustri e di scombiccherati titoli di coda. E tutti, o perlomeno tutti coloro che l'hanno vista, si sono accorti anche di un'altra cosa, collaterale: che era la prima storia, delle due, ad essere veramente orrorifica, di un orrore tenace e senza fine, l'orrore della realtà. È un orrore che oggi corre su una quarta linea che, forse, non provocherà i disastri apocalittici della seconda storia, ma alla quale è un preciso dovere, morale e civile, opporsi.

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