Zeugma n° 5

 


Ci sono due frasi che nessuno dice mai, perché mettono a nudo chi le pronuncia, lo espongono alla mercé del suo interlocutore e, soprattutto, perché costituiscono l'atto supremo di annullamento dell'ego, di decostruzione della persona e del personaggio. La prima è "Mi dispiace". Detta, s'intende, non falsamente dispiacendosi di qualche cosa, ma riconoscendo sinceramente il proprio sbaglio, ammettendo di essere mancati in qualcosa nei confronti di qualcuno. Ancor più devastante è il colpo all'orgoglio inferto da tre parole che dovrebbero porsi alla base del vivere civile, delle relazioni pulite, sincere e disinteressate: "Non lo so". In fondo nessuno di noi sa un cazzo, né di sé né del mondo che lo circonda, anche se per sopravvivere in qualche modo ci diamo tutti grandi esperti di chissà che cosa. Ci sono queste due frasi, "Mi dispiace" e "Non lo so", che richiedono sì un certo sforzo di volontà, ma che ci permetterebbero di stare al mondo con meno problemi, accettando noi stessi e la nostra tragicomica misera esistenza per quello che sono. C'è una galleria di personaggi che si potrebbero quasi definire teofrastici e che rappresentano, con candore assoluto che ci pare dunque grottesco e paradossale, la difficoltà dello stare al mondo, tanti piccoli protagonisti di operette morali narrati da un'entomologica voce femminile. C'è un uomo che doveva andare chissà dove e chissà perché, ma noi non lo sapremo mai, perché la sua macchina lo ha piantato in asso nel bel mezzo del nulla. Dal nulla veniamo e al nulla ritorneremo? Il nulla può far paura, perché è assoluto, ma è vissuto sempre soggettivamente. C'è un prete pallido e smunto sull'orlo di un baratro esistenziale che celebra riti vuoti e di nascosto, in sacrestia, mentre le pie vecchiette sono immerse nel loro rosario, si scola il vino dell'eucarestia: un sacerdote che infine si arrende e cerca di barattare il trascendente con il rimosso, nel tentativo disperato di ritrovare la fede, salvo sentirsi rispondere che per futili, queneauiani motivi di coincidenze dei trasporti questo non può accadere. Tra il nulla colto e l'altro donato un pomeriggio dorato di fine estate, una stradina polverosa di una periferia bucolica e tre ragazze, giovani, belle, senza pensiero alcuno, che celebrano la loro transitorietà accennando un passo di danza e ridendo sommessamente, per sempre catturate in quel felice momento di gioventù. È forse questo il giusto modo di aspettare il nulla? Non lo so, e mi dispiace.

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