Zeugma n° 4

 


C'è una distesa innevata. Una lunga, lunghissima, sterminata distesa innevata, una lastra bianca che decompone i confini fra cielo e terra, che nasconde le cose - le cose che si vedono, perlomeno - ed annulla qualsiasi rumore esterno. C'è una macchina, raminga e solitaria, che sfreccia su una strada insolentemente dritta che taglia in due questa distesa innevata. E c'è un uomo, dentro questa macchina raminga e solitaria, che vaga non sapendo esattamente dove andare, o forse lo sa benissimo ed è questo che lo fa andare: andare a dispetto del tempo, del sonno, della stanchezza, di rettilinei tutti uguali e ugualmente desolanti. Finché si palesa un piccolo villaggio, una stazione di servizio lungo questo purgatorio gelato: un accrocchio di casette che diresti subito inquietanti ancor prima di scoprire che, come quelle irreali megalopoli cinesi costruite prima che qualcuno ci vada realmente ad abitare, recano in sé il marchio di un'assenza inaspettata, di un vuoto che emerge concavo laddove dovrebbe spiccare un pieno convesso. Almeno... Non so, è forse vuoto tutto ciò che non è umano, o che è diversamente umano? Troppe pillole eccitanti possono far emergere una realtà che si nasconde dietro l'occhio, dietro lo specchietto retrovisore. Uno: impatto. Due: tira la tenda, ci vedono fuori. Tre: e datemi una mano, cazzo! Quattro: fucile. Cinque: ambulanza. Ambulanza? Una damn good cup of coffee, come direbbe il nostro amico Dale Cooper. Se la rovesci sulla neve, scorre il sangue. Forse non è una cattiva idea chiudere la porta d'ingresso a chiave: gli oggetti sono più vicini di quello che sembrano. Sei: natura morta. Morta?

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