Così vicino, così lontano


Cominciamo da un paio di definizioni. Rimorso: un'emozione sperimentata da chi ritiene di aver tenuto azioni o comportamenti contrari al proprio codice morale. Rimpianto: ricordo nostalgico e dolente di persone o cose perdute, o di occasioni mancate. Questa nota terminologica è stata sollecitata da una discussione avuta gli scorsi giorni con il conte Fourteen e l'ingegner Fantin: è più doloroso il rimorso per non aver mai vissuto qualcosa che si ritiene valesse la pena vivere o il rimpianto che deriva dal ricordo di eventi, situazioni, stati, sensazioni una volta esperiti e ora lontani nel tempo e nello spazio, per sempre perduti? Sono due dolori diversi, diversamente laceranti. Il rimorso (in questo specifico caso, di qualcosa che doveva essere ma non è stato) è un dolore esistenziale: il dolore delle infinite potenzialità inespresse che smettono di essere nell'istante in cui vengono arbitrariamente scartate in favore di alcune loro concorrenti. Il rimpianto è, invece, un dolore eventuale, legato a circostanze che si sono verificate in almeno un'occasione e che ora sono temporalmente, fisicamente e cognitivamente inaccessibili all'esperiente.

Si pena di più a rimuginare sulla mancanza di ciò che non è mai stato o di ciò che fu e che ora non è più? La risposta è difficile, esprimibile spesso a livello individuale, anche se in molti casi si può dire manchi del tutto. Ad esempio, a naso a uno verrebbe da dire che un giovane è piuttosto preda del rimorso che del rimpianto, che emerge forse di più sulla lunga distanza. Tuttavia questa è una visione del tutto parziale, e pertanto incompleta. Io, ad esempio, che non sono mai stato giovane, ma di certo non sono vecchio come il qui presente professor Ritmo, sono pieno di rimpianti. Rimpiango quando giravo per le strade assolate della città senza meta alcuna e senza che il pigro scorrere delle ore: rimpiango il cervello sgombro dalle cose, le preoccupazioni abbattute a spallucce, la voglia e la forza di imparare e persino l'arroganza di chi fa finta di saperne sempre una in più degli altri; rimpiango le cose dette sinceramente, il primo concerto e il primo bacio. Rimpiango l'ingenuità che copre gli occhi ed impedisce di vedere le cose per quelle che sono e, facendo questo, salva, perché la conoscenza distrugge l'anima. Allo stesso tempo, però, non bussa alla mia porta alcun rimorso: conosco la vita che ho vissuto, non l'incognita che sarebbe potuta essere in un mondo alternativo, e per quanto pensi spesso ad una mia versione operaista trapiantata negli anni '70 mi rendo conto che si tratti unicamente di fantasie.

Anche il rimpianto è, a suo modo, una fantasia, perché abbellisce i contorni di una realtà che non è mai stata come la si rievoca (il famoso bias del passato). E piuttosto che morire di fantasie è forse meglio vivere, per quanto sia intimamente difficile.

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