A morte il neoliberismo!


L'unica categoria lavorativa che ancora non sa quando e se potrà ricominciare con le proprie attività nella famigerata "fase due" è quella degli artisti, o di chi comunque ci gira intorno e ci collabora strettamente. Gli artisti sono visti come l'analità improduttiva del sistema lavoro: un accrocchio di gente senza arte né parte che vive a perdere, che produce immaterialità e in nessun modo restituisce gli investimenti di chi (forse incautamente?) decide di scommettervi economicamente. Non è un caso: nel momento in cui abbiamo deciso che tutto è monetizzabile e come tale deve sottostare alle logiche del libero mercato questa è, anzi, la prima e più diretta conseguenza. E poco importa se scrivere un disco, imbarcarsi in tour di decine di date, cercare febbrilmente finanziamenti per il proprio film, o un editore per il proprio libro, o un'istituzione per il proprio progetto di ricerca sia una tiritera massacrante che pone un'ipoteca su migliaia e migliaia di vite: per il neoliberismo della competizione per la competizione, dei diritti civili distribuiti a pioggia a patto che chi li riceva non sia in peccato mortale di povertà, della macelleria sociale e dell'esaltazione sfrenata e spietata dell'individualismo tutto ciò, semplicemente, non esiste.

Ed allora è arrivato il momento di dire che neanche il neoliberismo esiste, se non nelle teste di chi cerca di conculcarlo in altre teste. Se non esiste che muoia, che bruci nel suo inferno di libera concorrenza (finché le cose non vanno troppo male da convertirsi all'interventismo statale, si capisce): che soffochi, lentamente, travolto dal mondo che non può essere controllato dal dio mercato, che poi è tutto il mondo. Che crepi, e che rinsaviscano tutti quei cretini che ancora, nel mezzo dell'apocalisse, si premurano di puntualizzare che "non esiste alternativa", come diceva la Thatcher negli anni '80. L'unica cosa a cui non esiste alternativa è la morte, ed è l'indifferibile morte ciò che merita l'indifferibile neoliberismo.

Non ne sentiremo la mancanza. E forse, dopo esserci accorti che la vita è altrove, riporteremo gli artisti dove meritano, al centro di un mondo che deve essere rieducato ai valori del dialogo estetico. Tutto il resto è fuffa. È poco, certo, ma è tutto ciò che abbiamo ed è una ragione molto più che sufficiente per piantare l'ultimo chiodo nella bara del neoliberismo, profondamente, sino al cuore.

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