Ah, mici!
Dire che non vado matto per l'ultimo periodo de Il Teatro Degli Orrori - diciamo la seconda metà, gli ultimi due dischi, tanto per capirci - sarebbe un po' un eufemismo. In particolare, oggi come allora, sono convinto che Il Mondo Nuovo, il terzo disco, sia il più classico dei giganti dai piedi d'argilla, un lavoro la cui enorme ambizione ne ottenebra la scrittura e fa collassare tutto sotto il peso di un concept che, nell'ansia di dire tutto, riesce a dire molto poco. Sono anche convinto, tuttavia, che il disco successivo, quello omonimo, non sia affatto così male come lo si dipinge: e che molte delle critiche, a mio avviso ingenerose, che ha catalizzato siano dovute proprio all'ingombrante ombra lunga del suo predecessore. In particolare c'è un pezzo, nella tracklist de Il Teatro Degli Orrori, che a mio avviso è quasi al livello dei grandi classici dell'esordio, Dell'Impero Delle Tenebre (2007) e del disco successivo, A Sangue Freddo (2009). Il pezzo si chiama "Sentimenti Inconfessabili" ed è un bel quadretto contro quello che il compianto Severino una volta definì il "basabanchismo fantozziano", l'abitudine atavica di saltare sul carro del vincitore (quindi non sul nostro), lo spettacolo perenne delle vite proprie ed altrui che si sublima nel momento più bachtiniano di tutti - il proprio funerale.
Io, personalmente, ho una particolare avversione per i funerali. Che sono sì un momento inevitabile dell'esistenza umana (e, anzi, forse l'unico momento davvero inevitabile dell'esistenza umana), ma sono anche un momento dove più si dovrebbe tacere più si alimenta la stura dell'esigenza di parlare parlare parlare, specialmente in direzione di un panegirico perenne tessuto in onore del defunto di turno. Per un'ora si torna ad essere tutti amici fraterni, inseparabili: come lo conoscevo io, ricordo ancora quando, non avrebbe certo voluto che. Tutti amici di tutti. Ma essere amici significa, in primis, essere onesti, rispettando l'onestà altrui, anche bastonando e criticando, con limpidezza, quando necessario. Meno grigi ci sono in un'agiografia, più quell'agiografia è un insulto alla memoria del dipartito. Per voler bene ad un amico, un amico deve sapere usare anche parole non sempre accomodanti.
Da qualche tempo, dove mi trovo, è stato aperto questo ristorante di iperlusso con piatti ispirati alla grande cucina stellata e prezzi del tutto fuori dalle possibilità di un abitante medio. Difatti girano strane voci: che per finanziarne l'apertura siano stati impiegati soldi sporchi, che ci siano strani accordi politici in mezzo, addirittura che sia una copertura - piuttosto kitsch, devo dire - per altre e ben poco edificanti attività. Ragioniamo per assurdo: se fossi amico del proprietario e fossi invitato all'inaugurazione ufficiale, dovrei andarci per mantenere la faccia o, piuttosto, comportarmi da amico e affrontarlo da uomo a uomo per chiedere spiegazioni, anche col rischio di pesanti ripercussioni? Facile filosofare, direte voi, nella tua posizione sicura. Ma la mia posizione, ribatterò io, non è affatto sicura: è quella di una persona qualsiasi a cui questo scenario potrebbe presentarsi da un momento all'altro. Magari essere meno amici e più mici, rinunciando al filetto in salsa di gamberi per rannicchiarsi in un angolo a, che ne so, leccarsi il culo. Ma quella allora sì, che sarebbe una scelta facile.
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