Jack Torrent e le sue sette note in nero


Un mese e mezzo fa Massimo Martellotta, noto ai più come chitarrista dei Calibro 35, ma al contempo titolare anche di una discografia solista di tutto rispetto e attivo da molti anni nel campo delle sonorizzazioni commerciali, ha annunciato il suo nuovo progetto, significativamente intitolato Proiezione Privata. Si tratta di una sorta di disco breve on demand, che fino allo scorso 3 giugno si poteva ottenere solamente a pagamento e solamente dalla pagina Bandcamp dell'artista. Due le tariffe: per 19 € si acquistava il pacchetto base, per 25 € c'era la possibilità supplementare di fare una chiacchierata su Skype con Martellotta e curiosare per una mezz'oretta fra gli armamentari del suo studio casalingo. L'idea ha un fondo smaccatamente imprenditoriale, da qualsiasi prospettiva la si osservi: lo strumentista, come d'altronde da etimologia, si riduce ad artigiano al servizio della volontà altrui, artista a chiamata o per meglio dire a click, creatore di contenuti in cui, come nella vecchia Flux, l'ascoltatore ha ruolo attivo (scopo che, bene sottolinearlo, lo stesso Martellotta non ha mai nascosto di perseguire).

Le conseguenze di questo gesto, tuttavia, sono assai più interessanti, quand'anche non necessariamente ed esplicitamente elicitate. Al centro della riflessione si riposiziona il ruolo simbolico, merceologico, che in quanto fruitori siamo disposti a concedere al prodotto artistico e a chi lo produce. In altri termini - prendo qui vagamente spunto dal Massimo Riserbo di un paio di mesi fa a tema copyright - un'operazione come Proiezione Privata ci interroga su due quesiti fondamentali: 1) siamo disposti a ricalibrare il rapporto musicista-ascoltatore sulle coordinate di mercato e a riconoscere al prodotto finale un qualsivoglia valore economico? 2) siamo capaci di superare gli schemi ultraliberisti dei torrent e dei p2p e, nonostante la disponibilità di musica da tutto il mondo a costo zero (parliamo di soldi, perché il costo energetico ed ambientale invece esiste ed è elevatissimo), siamo capaci, dicevo, di pagare per qualcosa che potremmo tranquillamente ottenere gratuitamente? Non si tratta di una questione nuova: si può anzi dire che sia entrata a far parte del mainstream almeno a partire dal 2007, quando i Radiohead pubblicarono a sorpresa In Rainbows lasciando scegliere ai fan se e quanto pagarne la versione digitale (glissiamo in questa sede su tutte le problematiche legate al loro status di gruppo da major, status che ha loro permesso di intraprendere con relativa sicurezza un'operazione commercialmente rischiosa come questa e che all'epoca venne discusso in ogni salsa).

Il succo è un altro: decidi tu cosa fare, basta decidere. Il musicista è un lavoratore come tutti? Allora va giustamente retribuito per il suo lavoro. Chissà che l'ascoltare meno non porti all'ascoltare meglio - e solo il cielo sa quanto bisogno ci sia di ascoltare oggigiorno.

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