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Visualizzazione dei post da aprile, 2020

La tempolinea del dottor Caligari

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La vicinanza ideale di due feste importantissime e come tali ovviamente da tutti insultate come il 25 aprile e il 1° maggio, eccezionalmente omaggiate in diretta anche da noi penultimi (se per fortuna o sfortuna lo deciderete voi), ci permette di individuare con precisione il tipo umano che domina le narrazioni di questi tempi: il retromane reazionario . Permettetemi di circostanziare quest'etichetta con un esempio concreto, tratto dal mio recente passato: retromane reazionario è come quel mio vecchio amico che si vestiva solo con maglioncini a collo alto da poliziottesco settantiano (ve lo figurate? un Merli , o un Testi , per capirci) e che un giorno, mentre stavamo raccogliendo adesioni per un'occupazione da tenersi la settimana successiva (il tempo delle occupazioni scolastiche, ricordate ), scese le scale che portavano all'ingresso della scuola con un gran sorriso stampato sul volto e il pugno sinistro sventolato in aria, affermando di non sentirsela proprio di us

A morte il neoliberismo!

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L'unica categoria lavorativa che ancora non sa quando e se potrà ricominciare con le proprie attività nella famigerata "fase due" è quella degli artisti, o di chi comunque ci gira intorno e ci collabora strettamente. Gli artisti sono visti come l'analità improduttiva del sistema lavoro: un accrocchio di gente senza arte né parte che vive a perdere, che produce immaterialità e in nessun modo restituisce gli investimenti di chi (forse incautamente?) decide di scommettervi economicamente. Non è un caso: nel momento in cui abbiamo deciso che tutto è monetizzabile e come tale deve sottostare alle logiche del libero mercato questa è, anzi, la prima e più diretta conseguenza. E poco importa se scrivere un disco, imbarcarsi in tour di decine di date, cercare febbrilmente finanziamenti per il proprio film, o un editore per il proprio libro, o un'istituzione per il proprio progetto di ricerca sia una tiritera massacrante che pone un'ipoteca su migliaia e migliaia

Imitazione di un'imitazione

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Il principio tolstojano dello straniamento , com'è noto, si estrinseca in un famoso racconto breve dello scrittore russo, Cholstomer  (1886). Cholstomer è un cavallo che parla in prima persona e osserva il mondo che lo circonda così come, in condizioni per noi normali, dovrebbe farlo un agente umano. Rispetto ad un uomo, tuttavia, il cavallo non conosce i concetti di possesso e proprietà : egli interpreta le cose per quello che sono realmente, non in base al dominio più o meno ideale che su di esse dovrebbe esercitare. Si può anzi dire che Cholstomer non comprenda affatto il concetto di "mio", "tuo", "suo" e, più in generale, non comprenda la necessità di riaffermare il rapporto di subordinazione che intercorre tra uomini e cose. È un'osservazione acuta, a suo modo rivoluzionaria, anche se non necessariamente socialista - lo stesso Engels affermava che lo sviluppo storico della proprietà privata fosse avvenuto in concomitanza con il passaggio

Tutti sulla stessa barca

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Nel momento in cui scrivo, è appena diventata di dominio pubblico la notizia che Boris Johnson, primo ministro conservatore del Regno Unito, si trovi intubato in terapia intensiva per l'aggravarsi della sintomatologia ricollegabile al coronavirus che l'ha colpito qualche giorno fa [UPDATE: Johnson è stato dimesso ] . Uno avrebbe vita facile a cianciare di karma, ad inanellare i "se l'è cercata" e i "chi semina vento" come fossero gli orrendi insulti rivolti dalla Murgia a Battiato, anche a gioire, magari non manifestamente, per la situazione di estrema difficoltà in cui uno dei più tenaci avversari politici del momento (dalla prospettiva di noi penultimi, perlomeno) si è infilato con le proprie stesse mani. Io, invece, non riesco a provare nessuna gioia per le conseguenze che una condotta irresponsabile, sia nel privato che nel pubblico, ha provocato sull'individuo singolo e sulla comunità di cittadini che è stato legittimamente chiamato a gov

Sapere di non sapere

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Qualche giorno fa Davide Fantin mi ha inviato un messaggio dal cellulare di Daniele Fanton, giusto perché gli piaceva confondere le acque, e mi ha sottoposto una definizione di "penultimo" che per brevità non vi sottopongo, ma che ho trovato perfetta. Tra le primissime caratteristiche in dote a un penultimo c'è, secondo la sintesi del nostro amato penultimo filosofo di Pellestrina, lo sforzarsi con ogni fibra del proprio spirito di comprendere le cose, per poi arrivare la sera ad ammettere a sé stessi di non avercela fatta neanche stavolta, ma fiduciosi nelle possibilità inespresse dell'indomani (che, ovviamente, sarà sempre il solito giorno). Credo, dalla mia prospettiva, di appartenere alla categoria dei penultimi soprattutto per questa peculiarità: il sapere di non sapere niente e l'accettare, cosa non facile, di vivere perennemente in questa perpetua ignoranza che più si cerca di combattere più s'infittisce, si avviluppa. Quand'ero più giovan