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Visualizzazione dei post da aprile, 2022

Controfattuale (9 a-c)

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Meno male che quella volta Alessandro Orsini, incontrando in uno studio televisivo in rovina il fuggitivo David Parenzo, prima di ordinare l'attacco termonucleare che ne avrebbe messo fine all'esistenza incrociò lo sguardo impaurito e in una certa misura stupefatto di quello che una volta era stato uno degli anchormen di punta della fallita rivoluzione liberal ordinata dall'imperatore dei sette mari Cairo (non egiziano, a dispetto del nome). In fondo, il motivo per cui Orsini si trovava dov'era e Parenzo fuggiva dal mondo si poteva riassumere in un semplice concetto d'icastica potenza: era Orsini, e non Parenzo, a sapere e raccontare le cose che gli altri, in quanto altri, non avrebbero mai detto. Era Orsini, e non Parenzo, a detenere le chiavi di un universo i cui misteri non sarebbero mai potuti essere penetrati in profondità dai lacchè del pensiero unico. E poi, insomma, prendete Orsini e Parenzo e metteteli vicini: un paragone piuttosto impari, non trovate anche

Controfattuale (8 a-b)

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Meno male che quella volta Antenore, profugo di guerra non riconosciuto come tale dall'ONU perché brunocrinito e piuttosto olivastro, decise di fare una deviazione a Padova prima di andare a trovare al mare quella famiglia di lontani parenti materni di cui non aveva mai sentito parlare e di cui nemmeno Omero aveva mai fatto menzione (il che getta dei dubbi concreti sulla loro effettiva esistenza). Come che sia come che non sia, la laguna Antenore non arrivò a vederla mai: si dice che, richiestogli come shibboleth il significato di "ofego" all'imbocco dell'allora nuovissimo ponte di Voltabarozzo, Antenore avesse risposto erroneamente "genere di pianta graminacea", suscitando le ire alcoliche del guardiano diligente che, con un solo fendente, lo decapitò di netto. Fu solo grazie alla compassione di un passante che il guardiano venne arrestato e poi, va detto, rilasciato con l'attenuante della legittima difesa: già si sapeva che, toccatemi tutto, ma non

Controfattuale (7 a-c)

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Meno male che, in quella sera piovosa che Ruggero Deodato aveva passato a casa dell'amico di sempre Renatino Curcio a scartabellare i curriculum degli attori ansiosi di prendere parte al suo prossimo progetto cinematografico, un foglio volante come per miracolo sporse dal plico di carta straccia che l'Orson Welles di Potenza aveva già visionato con crescente sconforto. E chi lo aveva mai sentito nominare prima?, si trovò a pensare con stupore Deodato, soffermandosi sui tratti volitivi di quel misterioso attore afroamericano, il suo sguardo penetrante, un  physique du rôle come non se ne vedevano dagli anni di Béla Lugosi. Fu una questione di un attimo: Deodato cestinò al volo il portfolio di Luca Barbareschi, aitante giovincello col vizietto del neofascismo che aveva espresso l'esplicito desiderio di "ammazzare un maiale" (metafora politica eversiva? Chissà), e alzò la cornetta del rifugio di via Gradoli per effettuare la prima, e forse la più importante telefona