Et in Glock ego


Incute un po' di timore quando lo si pronuncia, il 1977: l'inizio ufficioso degli anni di piombo, la nascita della nostra Sherwood, l'incubatrice di un compromesso storico destinato a non realizzarsi mai. Un anno difficile in anni difficili, dove ad una crisi petrolifera subentrava un attentato bombarolo, ad una crisi di governo un'altra, dove si sovrapponevano le immagini di Mario Mieli e di Anna Oxa, del Parco Lambro e di Giorgiana Masi. Tempi duri, in cui l'imperativo sembrava essere lo scegliere da che parte stare, piuttosto che lo scegliere se stare da qualche parte: scelte spesso forzate quando non apertamente opportunistiche, che col passare del tempo hanno poi rivelato la loro vera, mendace natura. Si sparava per strada e si moriva per errore, nel 1977, eppure non riesco a contare le volte in cui mi sono immaginato di vivere allora, piuttosto che ora [sì, ho usato piuttosto che come non avrei dovuto], di appartenere a quel tempo piuttosto che a questo: senza accesso universale ai dati, certo, senza conquiste fondamentali in ambito scientifico, d'accordo, ma con la follia e l'incoscienza della giovane età, persi nel flusso di un fermento creativo inarrestabile e, soprattutto, con uno sguardo di ingenuo e inguaribile ottimismo rivolto ad un futuro cornucopia di avvenimenti memorabili.

Quello su cui si fantastica è, naturalmente, la propria visione delle cose, la rappresentazione mentale e come tale utopistica che si ha di un periodo storico, non il periodo storico in sé, con tutti i suoi problemi e le sue notevoli complessità - a tal proposito, per chi volesse rinfrescarsi la memoria con un volume pop, consiglio caldamente la lettura di Maledetti '70, libro che riassume l'esperienza divulgativa della pagina Facebook Spazio70. Il desiderio insopprimibile di sfuggire al proprio tempo, di rifugiarsi in un'alcova non necessariamente remota, ma percepita come "altra" rispetto alla propria esperienza delle cose è, tuttavia, una costante dell'essere umano - l'anelare a qualcosa che è stato e ora non è più, oppure che non è mai stato ma che, mentendo a noi stessi, travestiamo come tale per soddisfare, almeno temporaneamente, la necessità di annullare la sofferenza dell'esistenza.

Nella famosa introduzione all'episodio tre della prima stagione di Twin Peaks, la Log Lady ci dice che la tristezza che ricopre le cose è dettata dalla nostra incapacità di vedere ciò che esiste veramente, dalla nostra ignoranza attorno a concetti fondamentali ed indefinibili come la verità. Aggiungendo poi: un giorno la tristezza finirà. Ci si può chiedere come, quando e perché, e se questo avvenimento epocale, qualora si verificasse, cambierà per sempre il nostro modo di essere. Una cosa è certa: non avremo più bisogno di sognare altri spazi e altri tempi in cui rifugiarci.

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